BeSports si sta dimostrando essere un campionato all’altezza di tutte le aspettative, raccogliendo il favore sia degli operatori che del pubblico. Grande merito va senz’altro a WeArena Entertainment S.p.a. che si è occupata di tutta l’organizzazione. Abbiamo intervistato il CEO Francesco Monastero.
Buongiorno Francesco e grazie per averci concesso questa intervista. Prima di addentrarci nello specifico sul campionato BeSports, vorremmo che ci raccontassi esattamente chi è e cosa fa WeArena.
WeArena è una società che nasce per andare a colmare quella che secondo noi è una nicchia di mercato importante, ancora molto trascurata, che è quella dell’entertainment di ultima generazione. Mi spiego meglio: se oggi vai nei centri commerciali, che ormai sono diventati i luoghi di aggregazione per eccellenza, quello che trovi legato al mondo dell’entertainment è il cinema multisala. È un mondo che funziona ancora molto bene, anche se è un po’ in declino, e il mercato chiede nuove forme di aggregazione e di intrattenimento che possano andare in sinergia con il mondo del cinema. Insomma un intrattenimento che possa creare anche un nuovo tipo di mercato e di economia. Parto da questo perché io nasco proprio come sviluppatore di centri commerciali, per cui la mia evoluzione è stata questa.
E WeArena si è messa in testa di realizzare dei grandi centri fisici: ne abbiamo già due, uno a Villesse in provincia di Gorizia di circa 1.700 metri quadri, e uno a Ferrara, pronto per l’inaugurazione, che sono circa 2.000 metri quadri. Stiamo valutando progetti anche da 4 o 5 mila metri quadri. E all’interno di queste arene, o meglio “WeArene”, noi proponiamo una serie di attività, a partire dal mondo degli eSports con circa 70 postazioni di gioco, il palco e le attrezzature per fare sia gioco singolo, che in compagnia, che tornei. Quindi un giocatore può venire e passare la sua giornata competitiva o semplicemente di gioco. Poi abbiamo tutto il mondo della Virtual Reality, con una serie di postazioni dedicate e attrezzate con le ultime tecnologie; abbiamo il mondo del racing con simulatori di guida e simulatori di moto di ultima generazione; abbiamo un mondo dedicato all’“edutainment”, ovvero educare divertendo attraverso tecnologie e laboratori, rivolto più alle famiglie, ai bambini e alle scuole; a Ferrara abbiamo anche una parte dedicata al retrogaming, che è una cosa che piace molto. Abbiamo una parte dedicata allo streaming, quindi delle sale per Twitch, dalle quali puoi fare il tuo streaming oppure imparare a fare streaming; infine abbiamo una parte dedicata alla fotografia, con dei ragazzi che insegnano la fotografia digitale con un laboratorio vero e proprio. Nei prossimi centri inseriremo anche sale di registrazione musicale e una zona per laboratori di cucina. Lo abbiamo definito il “format delle passioni”: cerchiamo di creare un sistema di intrattenimento che vada a sopperire a quella che secondo noi è un’ampia richiesta di mercato. Le persone oggi vogliono trascorrere il loro tempo libero in maniera intelligente, non semplicemente passeggiando in una galleria commerciale. Le persone voglio fare esperienze. Questo è il nostro mantra: il pubblico cerca esperienze, non solo prodotti.
Questo è il modello WeArena prima del Covid. Con il Covid abbiamo dovuto rivedere un po’ la nostra strategia e ci siamo messi in testa di entrare in un mercato che era comunque in programma, ma non così a breve termine, che è quello dell’on-line, in particolare con l’organizzazione di tornei su larga scala. Contemporaneamente ci siamo messi a lavorare su S.P.A.L. WeArena, che naturalmente è un progetto sinergico con l’arena di Ferrara, ed è stato lo spunto per creare una community di esportivi presso il nostro centro, sotto la bandiera della S.P.A.L.
OK, e invece come prossimi progetti cosa avete in programma?
Beh, ce ne sono alcuni che si possono dire e altri ancora no. Innanzi tutto abbiamo in programma un evento itinerante che si chiama “WeArena On Tour”, con il quale vogliamo portare soprattutto gli eSports in tema di simulazione sportiva nei centri commerciali per farli conoscere e per permettere alle community di esportivi di aggregarsi in un luogo fisico, anche se itinerante, e naturalmente attorno a un brand. Questo nell’ottica di far crescere la cultura degli eSports. La nostra idea è quella di organizzare una serie di tornei. La sequenza dovrebbe essere questa: prima ti invito a fare un torneo on-line, poi ti invito a fare una prova di simulazione fisica, e alla fine ti invito direttamente in pista a provare una vera moto. Questo è uno dei nostri obiettivi per il 2022: creare eventi, anche in collaborazione con le federazioni sportive, che ti portino attraverso gli eSports a fare degli sport. Magari c’è qualcuno che non sa di avere un talento e lo deve ancora scoprire. Quindi on-line, on-site, on-tour. Tra l’altro per l’on-tour abbiamo preso una novità assoluta per l’Italia che è HADO, un sistema in realtà aumentata. Si gioca in un campo 10 per 6 metri, in tre contro tre con un caschetto che sovrappone all’immagine reale una simulazione dinamica. Può giocare il bambino come l’anziano ed è perfetto per le famiglie. Lo stiamo preparando e cominceremo a lanciarlo subito dopo BeSports, per cui questa è un’anteprima assoluta. Noi speriamo di avere anche un campionato italiano di HADO che secondo me sarà molto ingaggiante. Basta avere uno smartphone legato a un braccio con una polsiera, che con il Bluetooth comunica con il casco e al tempo stesso riceve dagli altri dispositivi tutte le informazioni che servono. Tu puoi lanciare delle sfere di energia al tuo avversario che però si può proteggere con degli scudi virtuali, che tu vedi grazie al tuo casco. E il bello è che non vedi l’avatar del tuo avversario, ma lo vedi realmente. E il pubblico può seguire tutta la partita su un grande schermo. È un sistema che in Asia sta già spopolando. Si potrebbe organizzare un campionato in collaborazione con la federazione pallamano, o pallavolo, insomma in quegli sport dove prevale la manualità e la coordinazione (a questo link è possibile vedere un video dimostrativo del funzionamento di HADO).
Veniamo ora a BeSports. Dato il vostro background il passo appare quasi inevitabile, ma come mai avete deciso di imbarcarvi nell’organizzazione del campionato di Serie BKT di eSports?
Per gli eSports ormai la strada è tracciata: non possono far altro che crescere. La mia previsione nei prossimi anni è quella di una crescita vertiginosa, che però secondo me è anche molto legata alle strutture. È inutile fare una volta l’anno la Milan Games Week che fa il pienone, ma poi finisce lì. I giocatori, così come anche gli sponsor, vogliono un luogo di ricaduta adeguato per questo tipo di attività. Devono esserci delle arene adeguate, con begli spazi, insomma un contesto che sia all’altezza, come avviene in tutti quei paesi più evoluti in questo settore. Non basta più la sala LAN, bisogna fare qualcosa di più. Noi siamo stati i primi a lavorare su questo campo, sulle arene. Vorremmo farne almeno altre due o tre molto grandi, per competere a livello europeo.
Ma non c’è ancora troppa poca consapevolezza sul mondo degli eSports presso il grande pubblico?
Questo dipende molto dalla generazione a cui appartieni. Io ormai sono un po’ vecchiotto per questo tipo di cose e spesso i miei coetanei rimangono proprio storditi quando mi sentono parlare delle attività che faccio. Per questo motivo io continuo a ripetere: bisogna far cultura, bisogna creare consapevolezza che questo mondo non è più soltanto un gioco, può diventare una grande occasione per tante figure diverse, può diventare un’occasione per creare delle nicchie industriali importanti. Va creata una nuova visione di questo mondo: e la serie BKT con il lavoro che stiamo facendo secondo me aiuta molto in questa direzione. Come già avvenuto anche con la serie A, può contribuire a dare una visione diversa del mondo degli eSports. Le nuove generazioni, d’altro canto, hanno un attaccamento quasi viscerale a questo tipo di intrattenimento, per cui sarà sempre più facile. Però questo processo deve passare attraverso la creazione dei luoghi, della mentalità, dell’immagine adeguata; bisogna creare un sistema in cui tutti gli operatori possano intervenire in sinergia, altrimenti non ce la faremo. Un po’ lo sta facendo Federesports con il presidente Michele Barbone e il suo staff, un po’ lo sta facendo OIES (Osservatorio Italiano eSports) che sta mettendo insieme tanti operatori di questo settore; manca ancora probabilmente un meccanismo grazie al quale, magari attraverso i media, deve diventare “merce comune”. Ci sono milioni di persone che giocano, ma è ancora visto come un settore di nicchia, mentre secondo me non lo è più.
La formazione, oltre che al grande pubblico, va rivolta anche ai player stessi che spesso sono giovanissimi.
Guarda io ho tre figli. Ho sempre vissuto il mondo dello sport da ex-atleta e poi per decenni da sponsor. Ho sempre amato e sponsorizzato il rugby e l’atletica. Quello che cerchiamo di fare è di trasportare la sana cultura sportiva al mondo degli eSports. Non vogliamo avere dei ludopatici, totalmente ossessionati dai videogiochi che non riescono a fare altro. Nel mondo degli eSports inoltre, come in molti altri ambiti, vanno evitate le facili illusioni: ragazzi che immaginano di guadagnar milioni con gli eSports. Può succedere, ma anche no. Soprattutto no. Abbiamo avviato anche un progetto con l’Università di Ferrara. Vogliamo intanto capire con tutta una serie di studi l’impatto che ha sulla mente dei ragazzi il gioco, sia a livello quantitativo che qualitativo. Cosa succede nel cervello di un ragazzo dopo mezz’ora di gioco, dopo due ore, tre ore o cinque ore. Qual è il suo grado di apprendere qualsiasi altra nozione scientifica o culturale dopo che ha giocato e prima di giocare, insomma ci sono tutta una serie di esperimenti che sono stati messi a punto. Sempre sul piano etico ci siamo dati come obiettivo quello di fare in modo che chi venga a giocare in una nostra arena spenda sempre una cifra molto limitata. Cerchiamo sistemi e modalità per fare in modo che per giocare qualche ora tu non debba spendere 40 euro, ma con 7/8, massimo 10 euro, e stai dentro 3 o 4 ore. L’ultimo obiettivo è quello di tirare fuori i ragazzi da una community che è solamente virtuale e a volte illusoria, per tornare a incontrarsi e conoscersi di persona. Abbiamo potuto sperimentare nella nostra prima arena a Villesse l’incredibile emozione che nasce tra persone che si sono sempre frequentate on-line quando si incontrano per la prima volta. Non hai idea di quanti gruppi di ragazzi si sono creati così, che poi si vedono in maniera ricorrente e usano la nostra arena come punto di ritrovo. Mettiamo tanta attenzione su questi aspetti, sia sulla socializzazione, sia sul fatto che non diventi un’ossessione.
Tornando a BeSports, anche se è iniziato da poco, quali sono le vostre prime impressioni? Sta andando come avevate immaginato?
Intanto stiamo ancora imparando. A parte grandi gruppi come Infront, in Italia una realtà piccola come la nostra non aveva mai affrontato un evento del genere prima. Oltretutto, alle difficoltà intrinseche dell’evento, si sono aggiunte quelle dettate dal Covid, per cui diventa più difficile e più costoso organizzare viaggi, trasferimenti mantenendo sempre la bolla. Dal punto di vista del ritorno, come dati sui social di visualizzazioni e di contatti, in diverse occasioni i risultati sono andati ben oltre le nostre aspettative, con coperture che hanno superato i 50 mila contatti. Tra l’altro sono tutti valori “organici”, senza alcun tipo di sponsorizzazione da parte nostra. I feedback sono stati ottimi, il prodotto è piaciuto tanto, abbiamo avuto i complimenti da tutti gli operatori coinvolti, in particolare dalla Lega B. E anche molti sponsor che si erano fatti da parte perché non avevamo un pregresso da raccontare hanno cominciato a dirci che il prossimo anno ci aiuteranno e che vogliono essere della partita. Dovevamo creare la puntata zero. Io sono soddisfatto. Il prodotto è migliorabile come tutte le cose, ma mi piace molto.
Per chiudere una domanda personale: segui il calcio? Qual è la tua squadra del cuore?
Io sono veronese, quindi per DNA tifo per l’Hellas Verona. Poi amo lo sport in genere, mi sono appassionato al rugby e all’atletica. E quando ho potuto ho sempre cercato di aiutare queste realtà. Secondo me dobbiamo creare una nuova socialità, in cui i ragazzi, e le famiglie soprattutto, possano passare le loro giornate insieme facendo qualcosa che li appassiona. Ora che i vecchi centri di aggregazione storici stanno scomparendo, ora che gli oratori parrocchiali non esistono più, bisogna creare delle alternative. Questa è la prossima sfida che stiamo affrontando con il mio gruppo, di cui WeArena è solo una piccola parte. Ma ne parleremo quando sarà il momento giusto!
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