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eSports, Stefano Campoccia (Udinese Calcio): “Ai miei ho detto che dobbiamo essere i primi!”

Intervistare l’Avv. Stefano Campoccia, Vice Presidente dell’Udinese e Consigliere della Lega di Serie A, è una di quelle esperienze che andrebbero consigliate a tutti i cronisti appassionati di sport e delle storie di sport, e che non smettono mai di guardare avanti con senso critico sì, ma anche con lucida speranza di un futuro migliore. Perché il dirigente bianconero è, oltre che professionista apprezzato in più campi, anche un manager straordinario, in grado di “rapirti” con le sue argomentazioni e far sembrare un’intervista “ufficiale” di oltre un’ora e mezza una chiacchierata informale di 5 minuti con un vecchio amico…

Non può essere (e non lo è) un caso, che dal suo arrivo nel Consiglio di Lega la Serie A abbia avuto un’impennata di idee e di progetti, prima di dover digerire – obtorto collo – il mai troppo vituperato “Decreto dignità”, che ha sottratto risorse fondamentali per il calcio professionistico di vertice, e poi subire il vero e proprio tsunami planetario dell’emergenza Coronavirus. Un “uno-due” che in termini pugilistici metterebbe KO qualsiasi top-lega del pianeta.

Impossibile non approfittare della sua carica di consigliere, all’indomani dell’incontro con il ministro dello Sport Spadafora, per saperne qualcosa in più rispetto alla ripartenza del calcio giocato che – giova sempre ricordarlo – rappresenta la terza azienda del Paese, con un fatturato annuo di oltre 12 miliardi di euro

«Abbiamo tutti voglia di calcio – dice il Vice Presidente dell’Udinese Stefano Campoccia -. A maggior ragione gli italiani che sono chiusi in casa ormai da 2 mesi, anche se mi rendo conto che parlare oggi di “calcio giocato” a Bergamo o a Brescia significa essere giustamente guardati come dei marziani… Per questo si potrà ripartire solo se non ci saranno condizioni ostative, e se si riuscirà ad arrivare a quella fatidica soglia di “R0”=0. In questi giorni si è parlato di “8 squadre contro la riapertura”: tutte interpretazioni un po’ troppo semplicistiche da parte dei media, tanto è vero che poi la Lega ha prodotto un documento unitario sulla necessità di portare a termine il campionato. Ma questo lo si potrà fare soltanto dando risposte concreti a 3 tipi di quesiti: sanitario, organizzativo e giuridico. Nel primo caso occorre una corretta programmazione: oggi tutti i giocatori, persino gli stakanovisti che hanno la palestra in casa, possono al massimo fare un po’ di pesi e qualche corsetta sul tapis roulant. E’ davvero pericoloso pensare di poterli mandare in campo a disputare partite dopo poche sedute di allenamento: basti vedere quello che è successo al Borussia Dortmund appena è tornato ad allenarsi in Germania, con infortuni muscolari in serie (ed uno anche abbastanza grave: quello del 20enne difensore francese Dan-Axel Zagadou, che senza alcun contrasto si è infortunato ai legamenti del ginocchio sinistro, ndr). Prima di poter disputare gare ufficiali occorreranno da 4 a 6 settimane di allenamento. E poi c’è il problema del “come” ripartire: 17 club su 20 sono ancora in zone idealmente “rosse”. Non è che possiamo prendere l’intera Atalanta, con la Primavera, i dirigenti, lo staff tecnico e i magazzinieri, chiudere tutti in un albergo a Terni e farli star lì in isolamento per 3 mesi e farli giocare sempre a Roma o a Napoli o nel sud d’Italia. E se poi dovesse scoppiare un nuovo focolaio in un qualsiasi spogliatoio, che facciamo? Nuovo “lockdown” per tutti o solo per quella squadra, che non potrà più giocare e magari finirà in serie B? Sono tutti argomenti che vanno discussi prima del termine del 30 giugno, che a sua volta pesa come un macigno e rappresenta una spada di Damocle non indifferente per i contratti di giocatori e tecnici. E qui si inserisce anche il discorso giuridico: FIFA, UEFA e Federazioni nazionali devono trovare un punto d’incontro comune».

– Avvocato, che ne pensa della proposta del PSG e di altre squadre della Ligue 1 francese di terminare al 31/12 la stagione attuale? Predisponendosi già ad un calendario “solare” in vista dei Mondiali (invernali) del Qatar nel 2022, che di fatto imporranno al calcio europeo di adottare un diverso format da qui a un paio di stagioni…

«Dico che tanto quello che comanda e decide, anche nel nostro mondo, è il dio denaro. Potrebbe essere una suggestione e ci darebbe senza dubbio molto più tempo per risolvere le questioni di natura sanitaria e organizzativa, ma dipende da quello che ne pensano i broadcast televisivi, che proprio in estate danno un’accelerata alle loro campagne di abbonamento alla nuova stagione. Se la trovano un’idea geniale e funzionale, allora OK. Altrimenti – fatalmente – non se ne farà nulla. Anche in questo caso occorrerebbe un tavolo di concertazione con tutti gli stakeholders. In ogni caso, io lavorerei anche e soprattutto per salvare la prossima stagione: il rischio peggiore – che vale per l’intero “sistema-Paese” – è quello di partire troppo presto, e che poi un’ipotetica e deprecabile seconda ondata di contagi blocchi nuovamente tutto per mesi».

– Oltre Manica, in attesa della ripresa del campionato, la Premier sta dando vita alla “ePremier League Invitational”, un torneo elettronico a sfondo benefico con vari calciatori (tra questi anche Trent Alexander-Arnold del Liverpool e Raheem Sterling del Manchester City) che si sfidano da casa alla console di FIFA 20. La Serie A potrebbe varare – parallelamente alla futura “eSerie A TIM” – anche un torneo di questo genere, magari con squadre miste di giocatori e giovani player dei vari team di eSports? In questo, come Udinese eSports partireste tra i favoriti, visto che la vostra squadra ha appena vinto di seguito 2 diverse sessioni del “Waiting for eSerie A TIM”…

«Sarebbe interessante. Noi abbiamo intercettato prima degli altri il fenomeno, e abbiamo creato una squadra che è una meraviglia (Edoardo “Imbaedo1” Sbroggiò per PES 2020 e Girolamo “Goldenboy92” Giordano per FIFA 20, affiancati da Filippo “Cruyff14Ita” Armellini e Michele “IlBasileus” Lorenzo, ndr). Quando l’Amministratore Delegato della Lega, Luigi De Siervo, ci ha chiesto di partire con il settore degli eSports, io ai miei ho detto: “Dobbiamo essere i primi!”. Abbiamo fatto un lavoro straordinario, e l’idea di mettere ad esempio Rodrigo De Paul alla console accanto ad un player della nostra squadra sarebbe divertente. Sicuramente, per l’immediato dobbiamo inventarci qualcosa: gli eSports sono il futuro, e la meravigliosa struttura che abbiamo allestito alla Dacia Arena si presta perfettamente».

– Visto il potenziale bacino di utenza in Italia, con quasi 6 milioni di gamers quotidiani, lei quindi ci crede agli eSports? Il suo club li ritiene un asset di sviluppo futuro, anche in ambito commerciale?

«Io mi ritengo il padrino del settore bianconero degli eSports. Che è un asset favoloso per creare ancor più “fan engagement”: cosa c’è di più ghiotto per poter suscitare l’attenzione degli sportivi futuri? Anche utilizzando i social, anche stimolando quei ragazzi che oggi sono meno vicini alla pratica sportiva, a differenza di quanto poteva avvenire in passato. E, dal mio punto di vista, continuo a considerare Udine come “l’ombelico del mondo dell’Alpe Adria”: un crocevia tra Italia, Austria e Slovenia in grado di attirare masse di curiosi da tante parti. E in quest’ottica, io sono felice quando allo stadio vedo arrivare auto con la targa di Villach, Innsbruck, Graz, persino di Vienna o provenienti dalla ex Jugoslavia. E allo stesso modo le sessioni di tornei eSports disputate alla Dacia Arena possono diventare un appuntamento di richiamo per tanti appassionati di tutta Europa».

– A proposito di stadio: 4 anni fa, in occasione della presentazione ufficiale dell’accordo tra l’Udinese e la Dacia per la sponsorizzazione dello stadio “Friuli”, lei disse una frase significativa: «Decolliamo tutti insieme per un progetto che ci porta nel futuro», ipotizzando per il rinnovato impianto un ruolo da luogo ideale per eventi di gaming e momenti di aggregazione in grado di andare anche oltre i 90 minuti della partita. Visto il gran successo del primo torneo di eSports da voi organizzato alla Dacia Arena, con oltre 100 iscritti, dire “missione compiuta” è dire poco…

«E non abbiamo ancora finito… Ci sono 23mila mq di progetto da completare: dopo qualche ritardo dovuto al recepimento della Legge sugli Stadi ora abbiamo superato tutti i problemi e siamo alla fase esecutiva del progetto stesso. L’idea è quella di dare vita ad un museo dello Sport, con ad esempio una sezione dedicata ad un gigante – in tutti i sensi – come Primo Carnera. E’ vero che noi abbiamo vinto molti meno titoli della Juventus o delle milanesi, ma l’Udinese è una fucina di campioni: ne abbiamo lanciati tantissimi, tutti innamorati di Udine e della loro esperienza in bianconero. E ancora oggi – quando ad esempio vedo Alexis Sánchez scendere in campo – mi emoziono. Non ci manca nulla per creare una “Hall of Fame” di prestigio. E accanto ad essa potenziare l’area Family dell’impianto e quella “Le Zebrette” dedicata ai più piccoli. Come società abbiamo un canale TV all’avanguardia, una grande struttura di marketing e di media, e soprattutto possediamo una hospitality tra le prime in Italia: la qualità dell’offerta, alla Dacia Arena, è enorme anche per chi spende soltanto 15 euro. Decisamente superiore, ad esempio, a quello che l’Allianz Arena di Monaco di Baviera può offrire a chi spende anche molto di più. E’ proprio la Dacia Arena l’elemento di grande distinzione. E ripenso con un sorriso alla gran fatica che abbiamo fatto nel convincere il colosso Dacia che il nostro era un progetto di ampio respiro e non a carattere locale: per fortuna abbiamo trovato un Amministratore Delegato, tra l’altro francese, che ha creduto in noi e nella bontà del progetto della famiglia Pozzo, e ha fatto un lavoro straordinario».

– In tema di stadi e di ricavi, è impossibile non fare un parallelo tra il panorama del calcio italiano e il dorato mondo della Premier League inglese. E, in quest’ottica, parlare anche di quanto il “Decreto dignità” – con il divieto della pubblicità al mondo del Gaming – ha tolto ai club nostrani… 

«E’ stata una follia. La ludopatia è indotta dalle slot machines, non certo dalle scommesse sportive, per le quali serve cultura sportiva, abilità, competenza. Le scommesse sono una versione moderna del Totocalcio: sarebbe bello anche tornare ad una “schedina 2.0”, nonostante il fatto che i vari bookmaker abbiano oggi un’offerta di gioco a 360°, evoluta e di grande appeal, in grado di soddisfare qualsiasi appassionato. E nelle scommesse sportive di sicuro il banco non vince sempre, come invece avviene con le slot. Mi chiedo: che significato ha bloccare la pubblicità di scommesse e vietarla anche negli stadi o ai club di Serie A, quando praticamente il più ingenuo dei “Millennial” sa perfettamente barcamenarsi su internet e – volendo – collegarsi ad un bookmaker estero illegale?

– Voi avete anche l’esempio del vostro Watford, portato trionfalmente nella massima serie 5 anni fa e da allora stabilmente e saldamente in Premier League…

«Esatto: lì possiamo incassare i soldi provenienti dal Gaming, qui con l’Udinese no. E’ evidente che in questo modo aumenta a dismisura il gap tra i vari campionati, già importante anche solo in termini di ricavi TV. Con quel provvedimento si sta cercando di fermare il vento con le mani. Ma è la globalizzazione, è inevitabile. E togliere quelle risorse al calcio italiano significa solo togliergli competitività». 

– A proposito di scommesse: lei le vede bene anche sugli eSports? In assenza di calcio giocato i bookmaker hanno già iniziato a bancare i vari tornei di queste settimane…

«Avendo visto quello che fatturano le scommesse virtual basate sul calcio, non c’è alcun dubbio che lo sbocco potrebbe essere quello. Anche senza timore di match fixing: personalmente ho contribuito a riscrivere il Codice di Giustizia sportiva, introducendo il monitoraggio e cercando – a proposito di responsabilità oggettiva – di tutelare i club in caso di illecito individuale da parte di qualche balordo».

– In un momento come questo farebbe comodo anche quella percentuale dell’1% sulle scommesse giocate sulla Serie A…

«Sì ma un introito del genere, anziché essere messo a disposizione dei club per essere completamente speso nel calciomercato, lo vedrei meglio come un fondo di garanzia, che non si consuma ma resta utile e a disposizione del movimento intero».

– Negli ultimi decenni tutti gli osservatori sportivi riconoscono all’Udinese grandi capacità di “visione”: nell’investimento per lo stadio di proprietà, per la scoperta e il lancio di tanti giocatori di talento, per la bella favola del Watford. In conclusione, qual è il prossimo obiettivo rivoluzionario che la famiglia Pozzo e il Vice Presidente Campoccia si prefiggono o che vorrebbero veder realizzato?

«Continuare a tenere gli occhi chiusi e proseguire nel sogno bianconero, possibilmente con un po’ di sfortuna in meno rispetto agli ultimi tempi. Il sogno è quello di dare ancor più valore al lavoro, al sudore e alla tanta fatica che Giampaolo Pozzo e la sua famiglia mettono nel club bianconero. Perché non ci manca niente. Purtroppo nel calcio di oggi i 2/3 delle squadre vivono di mercato, e se ad esempio si rinvia sine die quello estivo in tante rischiano: magari ad un club come il PSG interessa poco o nulla, ma tanti club come il nostro finirebbero per avere dei problemi. Oggi le società, anche quelle grandi, non possono permettersi di ignorare il break even, che è elevatissimo. Guardi quante piazze sono scomparse dalla Serie A e dal grande calcio in questi ultimi anni: Catania, Palermo, Bari, Perugia, tanto per fare qualche nome. Tutte con un grande bacino di pubblico e tutte meritevoli della massima ribalta. Anche noi abbiamo avuto questi problemi, ma li abbiamo affrontati e superati».

– Quindi il classico desiderio da esaudire sarebbe?

«Completare quei 23mila mq all’interno della Dacia Arena – esclama con una risata contagiosa Campoccia –. A parte questo, il grande progetto di più ampio respiro è a livello nazionale: la crescita della Lega Calcio come struttura in grado di poter pensare realmente in grande. Per quanto mi riguarda, l’Inghilterra ha in tutto 3 città che contano e ben 11 squadre nella sola Londra, noi abbiamo 100 città! Le revenue derivano dall’aumentare della marginalità del prodotto, e noi dobbiamo implementare un sistema che preveda al tempo stesso copertura turistica e sportiva dovunque, che faccia sì che per un futuro visitatore del nostro Paese diventi scontato e automatico l’appuntamento anche con uno stadio e con le atmosfere dello spettacolo calcistico. E chi meglio dell’Italia può accostare turismo, arte, cibo e sport?».

Carlo Lazotti

Giornalista sportivo, esperto di Gaming, new media e hi-tech.

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